Un dolce ricordo

Ci sono luoghi che ti restano impressi nel cuore, oltre che nella memoria, per tutti i momenti in cui li hai visitati, lasciando che la loro energia permeasse il tuo animo, oltre che il tuo corpo.

La casa della Signora Speranza era uno di quelli. Ogni volta che sono atterrata a Cagliari, non c’è stata occasione in cui, la prima tappa, non fosse la sua cucina.

Era un dolce rituale sbarcare e raggiungere Via Berna. Il suo androne, luminoso e intriso di un dolce profumo di legno trattato, da sempre mi ha accolta, come un balsamo vanigliato. Raggiunto il suo appartamento, soleggiato e denso di vite, di esperienze vissute, di persone, di emozioni, di accadimenti… la sua cucina era sempre lì, immobile nella sua forma e nella sua accoglienza… con il latte macchiato caldo sempre dolce allo stesso modo, con il caffè fatto alla moca, sempre servito nella stessa tazzina di porcellana… con i savoiardi sardi, che si alternavano alle formaggelle o ai papassini.

Speranza, signora dai modi gentili ed eleganti, è sempre stata una donna di casa, madre di quattro figli, nipote di cinque bambini, figlia del suo tempo, ma garante della sua autonomia e della sua indipendenza. Misurata nei modi, nelle risposte, nelle manifestazioni, nelle relazioni… la ricordo come una grande amministratrice. Si era sposata giovane, fiduciosa delle abilità e capacità di suo marito, per tanti anni non aveva mai lavorato fuori dalle mura domestiche, ma aveva con coscienza e costanza, gestito le risorse. Parsimoniosa nelle spese, Speranza sapeva trasformare la semplicità ed essenzialità, in qualcosa di prezioso.

Ricordo i suoi “gnocchi di pane”, la sua “pappa al pomodoro”, le sue torte di frutta surmatura… Ad ogni occasione di convivialità, Speranzina, come veniva affettuosamente chiamata da tutti noi, preparava sempre qualche manicaretto. Amavo la sua capacità di trasformare gli ingredienti che trovava nel suo frigo, in ricette. C’era sempre un filo sottile che le univa… e un dolce racconto che ne impreziosiva il valore.

“Eravamo sotto la veranda di Capitana, in un afoso pomeriggio estivo quando Speranza, accompagnata dalla figlia più grande, mi raggiunse. Tra le mani un vassoietto coperto da un telo di cotone bianco: un profumato ciambellone di pesche e yogurt. Dopo che le avevano detto che avremmo cenato tutti insieme, si era affrettata a prepararlo. Non aveva granché a casa, così aveva deciso di usare quel vasetto ormai in scadenza e quelle morbide e dolcissime nettarine, ormai troppo avanti per essere mangiate così com’erano.”

Io ero affascinata nell’ascoltare le sue valutazioni. Erano semplici, ma rassicuranti. Non c’erano orpelli, nessuna sovrastruttura. Speranzina raccontava con modestia il suo quotidiano e soprattutto ascoltava chi aveva di fronte. Non aveva fretta. Non ti parlava sopra. Era una persona presente. Ironica e capace di stare di fronte a te, anche quando non stavi bene, anche nei silenzi, non era invadente, non faceva domande inopportune, ma con delicatezza si interessava del tuo sentire. Raramente chiedeva cosa facessi nella vita. La sua capacità era quella di stare con quello che c’era, con quello che eri in grado di offrire, e di addolcirlo.

Torta di Pesche e Yogurt

Ingredienti

1 vasetto di jogurt

4 pesche

1 vasetto di jogurt di zucchero

1 vasetto di jogurt di olio di semi

3 vasetti di jogurt di farina

1 bustina di lievito vanigliato

Procedimento

Mescolare in un contenitore ampio tutti gli ingredienti, comprese le pesche sbucciate e tagliate a dadini. Aromatizzare con la buccia di un limone non trattato grattugiato o con della cannella in polvere.

Versare l’impasto in una tortiera da 22cm di diametro foderata con della carta forno e cuocere nel forno a 180°C facendo la prova stecchino dopo 45 minuti.

Servire tiepida con dello zucchero a velo.