“Halloween, Ognissanti e il Giorno dei Morti”

Quando mi trasferii in Abruzzo, feci amicizia con una famiglia di un paesino della provincia di Pescara. Spesso ero loro ospite e tutte le sere che cenavo in quella casa ricordo nitidamente che al termine del pasto una piccola porzione di ogni pietanza veniva riposta con cura. Scoprii solo a distanza di molto tempo che si trattava dell’offerta ai defunti.

Il Cibo dei morti

In tutto il Mediterraneo, nell’Antica Roma, come tra gli Etruschi e gli antichi Greci, l’offerta di Cibo era profondamente legata alla ritualità funerea e alla morte nel senso più ampio del termine.

Le festività erano connesse ai cicli della natura, alla morte e alla ri-nascita, al raccolto e alla semina, alle stagioni e ai passaggi che durante l’anno accompagnano la nostra vita e che ogni volta ricordano ed onorano la nostra capacità di saper accettare il lasciare andare, la trasformazione e il nuovo.

In Egitto all’interno delle tombe era solito accompagnare il corpo, oltre che con i suoi averi, con del cibo, così da augurare nell’aldilà, una vita uguale a quella terrena.

In Cina ancora oggi, all’interno dei grandi cimiteri, spesso è possibile vedere, nei piccoli negozietti riproduzioni in plastica di alimenti che possono essere acquistati e donati al defunto per augurargli una buona vita nell’aldilà.

Per alcune culture, mangiare accanto ai propri morti era perfino un’usanza che onorava la vita e allontanava la morte.

Quando ero piccola, la prima volta che mia nonna mi permise di accompagnarla ad un funerale, rimasi molto colpita dal partecipare, subito dopo la processione che accompagnava la cassa al cimitero, al banchetto organizzato all’interno della casa del defunto. Solo in un secondo momento mi spiegarono che quello era un modo per esorcizzare la morte e sostenere i familiari.

Halloween, Ognissanti e il Giorno dei Morti

Nonostante i festeggiamenti per il 31 ottobre siano interpretati dalla maggior parte delle persone come un’usanza americana importata e riadattata nei nostri contesti, nell’antichità pare in realtà che ci fossero numerose tradizioni che prevedevano, in diverse parti d’Italia, il travestimento dei bambini ed il loro girare per le case chiedendo un’offerta in onore delle anime dei defunti.

In Abruzzo, soprattutto nella Valle Peligna, si racconta che i bambini solevano sporcarsi il viso con della cenere e della farina per ricordare i fantasmi dei morti e poi, con una zucca scavata al suo interno dove veniva allocata una candelina, si recavano di casa in casa a ricevere “il bene”. Per far sì che le porte dove andavano a bussare si aprissero, la formula magica alla domanda “Chi è?” era: “l’aneme de le morte”.

Sempre nella nostra amata regione, molte famiglie, ancora oggi, accendono delle candele che vengono poi poste sui davanzali delle finestre per illuminare la strada alle anime dei defunti che nella notte tra il 1 e il 2 novembre vagano per i paesi.  Tale usanza, pare che un tempo servisse per facilitare ai morti il percorso dal cimitero alle Chiese dove venivano celebrate le messe in loro onore.

Tra le leggende si racconta che, nella Valle Peligna:

“Una fornaia, alzatasi di buon’ora, andò ad accendere il forno, ma nel passare davanti a una chiesa, illuminata, credendo che vi stessero celebrando la messa, entrò e si inginocchiò ad un banco.

Dopo qualche istante, una sua comare, già morta, le si avvicinò e disse: “Comare, qui non stai bene; va’ via. Siamo tutti morti e questa è la messa che si dice per noi. Spenti i lumi, moriresti dalla paura a trovarti in mezzo a tanti morti!”

La comare ringraziò, e andò via via subito; ma per lo spavento perdette la voce.”

Tra il 1 novembre (Ognissanti) e il 2 novembre (Giorno dei Morti) la leggenda popolare narra che i defunti tornassero a far visita alla loro famiglia di origine e portassero con sé dei doni per i bambini. Per il lungo viaggio dall’aldilà e per accoglierli in questa dimensione, si usava imbandire le tavole con prelibatezze e lasciare che restassero apparecchiate fino al mattino. Ancora oggi qualcuno lascia a tavola gli avanzi o apparecchia con un posto in più.

Tra i piatti più ricorrenti di questo momento ricordiamo le ricette che usano tra gli ingredienti la zucca, le fave, le castagne, il melograno, i ceci, il grano… e tutti quegli alimenti che ci ricordano la semina ed il valore dell’attesa.

Novembre e il tempo dell’attesa

Novembre, appena iniziato, è infatti un mese speciale. Nonostante per molti sia sinonimo di tristezza, perché cupo, grigio… spesso freddo e portatore di giornate corte e nebbiose, in realtà il suo ingresso ci porta a contatto con un aspetto molto importante della nostra vita: il passaggio dalla luce al buio ed il contatto con la nostra parte ombra.

Il periodo invernale, caratterizzato dall’essere una stagione ritirata, introversa è un momento dell’anno che ci invita allo stare, al lasciare andare il superfluo per guardarci dentro e ricontattare la parte più profonda di noi. Onorare questo inizio e la nostra parte più intima attraverso dei piccoli riti quotidiani non soltanto ci consentirà di allinearci alla natura, alla sua ciclicità, ma anche di cogliere l’opportunità di rompere delle abitudini consolidate per aprirci a qualcosa di nuovo, di diverso. Lasciare che qualcosa muoia, lascia spazio affinché qualcos’altro possa nascere, trovare spazio.

Quando vivevo con mio nonno, un uomo burbero di novant’anni… ricordo che dagli inizi di novembre i suoi pasti quotidiani diventavano gradualmente sempre più poveri fino ad essere costituiti da un pranzo fatto o di bieda e patate o di verza e fagioli o di sagne e ceci… ed una cena fatta di una mela, una fetta di pane e una noce.

La saggezza contadina e l’allineamento con la ciclicità delle stagioni era tale che, nonno Peppino, una volta terminata la raccolta delle olive, come una qualsiasi pianta del suo orto, terminava anche il suo ciclo vegetativo ed iniziava il tempo del riposo. Le sue giornate, in estate piene di impegni con la campagna e il giardino, piano piano iniziavano a calmarsi, fino a farlo entrare in un periodo molto simile al letargo durante il quale io vedo ancora la sua sagoma di fronte al camino che aspetta l’arrivo della primavera pregando o sonnecchiando.

Il Grano dei Morti

Tra le ricette che vi invito a provare per onorare la giornata di domani, ma anche tutte quelle mattine in cui desiderate prendervi un tempo per voi c’è quella de “Il Grano dei Morti”.

Dolce pugliese della provincia di Foggia, è un piatto che racchiude nella sua semplicità la simbologia del momento e l’essenza del passaggio.

Ingredienti per 2 persone:

250 gr di grano cotto (io uso quello per la pastiera)

2 cucchiai di gocce di cioccolato fondente

1 cucchiaio di canditi

1 pizzico di cannella

2 cucchiai di noci sminuzzate

2 cucchiai di mosto cotto

Procedimento:

Sciacquare e scolare il grano per bene. In una ciotola mescolare tutti gli ingredienti e poi dividerli in delle ciotoline. Lasciare insaporire per una decina di minuti e servire in tavola con abbinato un the leggero.

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Venerdì 5 novembre sarà presentato il libro “Il Cibo come via, gli Archetipi come guida” alle ore 19 presso Bistrobottega Bonassì a Pineto. Segnate l’appuntamento in agenda e passate parola, Vi aspettiamo!