La pentola a pressione

Quando ero piccola e vivevo ancora a Roma, la mia madrina, che non amava tanto cucinare all’epoca, era solita usare, per abbreviare i tempi e ottimizzare i risultati, la pentola a pressione.

La conoscete? E’ quella pentola, solitamente dai bordi alti, particolarmente capiente, che ha come dettaglio fondamentale, che la rende speciale e funzionante, un coperchio a chiusura ermetica con una valvola.

Questa valvola, nel momento in cui all’interno la pentola, i cibi che vi abbiamo posto raggiungono “la pressione” inizia a fischiare per segnalarci che è ufficialmente iniziato il tempo che dobbiamo tenere sotto controllo, per la cottura vera e propria.

Non vorrei spingermi nei tecnicismi fisici che spiegano il perché il tempo di cottura con questo utensile sia più breve delle altre normali metodologie, ma vorrei piuttosto soffermarmi su un dettaglio fondamentale: se non ci fosse quella valvola che fischiando ci avvisa della pressione e che permette al sistema pentola-cibo di mantenere un equilibrio, dopo qualche minuto, la pentola a pressione esploderebbe. Proprio a causa della sua pressione interna.

Proviamo ora a paragonare noi stessi e la nostra gestione del quotidiano a una pentola a pressione.

Sempre più spesso, durante le mie sedute, mi capita di avere dei colloqui con delle persone che, parlandomi dei loro disagi e delle loro dinamiche relazionali, arrivano ad individuare nella repressione delle loro emozioni e re-azioni, la strategia principale messa in atto e il motivo dei loro disagi.

Avete presente quando siete in una situazione che vi fa stare male e voi, per paura di offendere qualcuno, di far sì che l’altro ci resti male, per evitare un conflitto, una discussione… tenete tutto dentro e ingoiate grossi rospi amari?

Bene, in tutte quelle occasioni, è un po’ come se voi steste facendo la pentola a pressione. La tendenza, sempre più frequente di controllare e reprimere è una strategia, che nonostante in principio ci possa sembrare “premiante”, alla lunga, è tutt’altro che efficace.

Trattenere è il miglior modo per esplodere o per bruciare, quando ci va bene, il contenuto. Quello che abbiamo dentro. Una relazione.

Se infatti da un lato ci potrebbe sembrare un paradosso, riflettendoci un attimo, è facile desumere la ragione del perché l’eccesso di controllo non faciliti il nostro benessere e la qualità dei nostri rapporti.

Se una situazione ci crea disagio e noi, per non rovinare quel momento, evitiamo di portarvi l’attenzione e poi, nei giorni a seguire, per non riaprire il discorso, evitiamo di parlarne… cosa potrebbe succedere se dopo un certo tempo ci trovassimo a rivivere le medesime dinamiche? Che volume raggiungerebbero quelle emozioni, ormai note, che avevamo già sperimentato ed evitato di esternare e trasformare?

A volte ci sembra così difficile affrontare una discussione che, per evitare di ferire l’altro o di trovarci in una situazione scomoda, evitiamo di contattare i nostri bisogni e di esprimerli… eppure, così facendo, inconsapevolmente e spesso, in assoluta buona fede, non facciamo altro che alimentare un circuito vizioso di malessere e non detti.

Il segreto non è escludere, reprimere, giudicare… quanto si muove nella nostra persona o nella nostra vita, ma imparare a leggere tra le righe, la punteggiatura, nelle pause… i significati meno scontati, i passaggi più complessi dove risiedono le nostre più grandi risorse, i nostri più grandi tesori…e poi allenarci ad esprimere agli altri, soprattutto alle persone più care, i nostri bisogni.

Sì, è proprio qui che risiede la nostra forza. Andando a ri-contattare costantemente ciò che ci ferisce, che ci fa stare male noi, non solo impariamo ad osservarci e dunque a conoscerci, ma anche ad orientare i nostri comportamenti nella direzione di ciò che ci fa stare bene.

Noi siamo quello che siamo e non è certo cercando di cambiarci che diventeremo migliori; ma anche gli altri sono quello che sono e noi non abbiamo diritto di provare a cambiarli!

E allora, cosa può fare la differenza? Fare un lavoro su di noi.

Osservarsi, conoscersi e intraprendere dei percorsi di crescita personale, è un’opportunità, attraverso la quale ognuno di noi può imparare a leggersi, a conoscersi e a comunicare con gli altri per salvaguardare chi siamo, le nostre necessità e raggiungere una mediazione.

Come ho scritto anche nell’articolo di marzo sulla rivista etica dell’Associazione Bambini e Genitori, saper mediare è un’abilità fondamentale da acquisire, perché ci consente di poterci relazionare con il mondo che ci circonda, senza andare contro a quelli che sono i nostri valori, la cornice entro la quale noi sentiamo di stare bene.

Al contrario, scendere a compromessi, lasciar correre, reprimere… abbracciare le idee e opinioni altrui, anche quando in perfetta antitesi con le nostre, nel medio lungo termine, non soltanto ci creerà dei disagi, ma ci porterà ad avere delle re-azioni disfunzionali, esagerate.

Nella pratica dunque, come potremmo procedere?

Iniziando ad ascoltare i tanti piccoli segnali che ci arrivano dal nostro sistema di difesa. Prima di qualunque esplosione infatti, come ogni vera pentola a pressione, anche il nostro sistema “persona” ci invia dei segnali. Tralasciarli può essere un errore. Ascoltarli, come quando siamo ascolto del fischio del coperchio, ci consente al contrario di intervenire, correre ai ripari, agire in modo consapevole.

Se senti che questo articolo tocca delle corde che ti appartengono, se pensi che ci siano dei conflitti da mediare, un percorso di counseling, anche di poche sedute, può essere funzionale a comprendere quali paletti è il caso di ristabilire e quale strategia comunicativa può essere più funzionale da seguire per te e per il contesto in cui ti trovi.

Prenota un colloquio conoscitivo.

A volte basta poco per avviare un processo di trasformazione. Fuori e dentro di noi.

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