Il fiore della bellezza

Erano anni…o addirittura forse è la prima volta che mia madre non viene in Abruzzo a ridosso delle vacanze pasquali. Da quando ero piccola il pranzo della domenica di Pasqua lo si trascorreva nella casa dei miei nonni. La caratteristica, oltre al giardino fiorito, all’atmosfera decisamente primaverile… è sempre stata quella di trovare, tra le varie prelibatezze del menù, i Carciofi Ripieni.

Quest’anno è andata diversamente, ed è stato veramente piacevole essere stata incaricata da mio zio per portare i “soliti” carciofi a mia madre così da non interrompere una tradizione familiare che si trasmetteva di generazione in generazione.

Sarà perché i primi carciofi sono, da sempre, pronti per Pasqua, sarà perché le loro spine sono da anni, associate al ricordo della Corona di Spine di Cristo e dunque alla Settimana Santa, ma questo ortaggio sulle tavole di molte famiglie, in occasione di queste festività, non può mancare.  

Personalmente, ho sempre amato i carciofi semplici, cucinati nell’olio, quelli ripieni non li ho mai ritenuti tra i miei piatti preferiti, ma sicuramente, la loro vista sulla tavola o nei pressi del caminetto acceso, ha sempre mosso in me un vortice di emozioni. Gratitudine. Stima. Affetto.

I Carciofi Ripieni sono, per gli abruzzesi un vero must. Realizzati con un procedimento piuttosto laborioso e impreziosito dalle interpretazioni specifiche della ricetta di ciascuna famiglia, nella mia casa sono sempre stati cucinati al coppo.

Nonna, colei che ha insegnato a mia madre come realizzarli e a me, di riflesso, li preparava con una passione e un’attenzione che ancora oggi mi stupiscono. La ritualità con la quale puliva ciascun carciofo sembrava molto più simile a quella di una fioraia intenta a realizzare un bouquet da sposa.

Con accortezza toglieva le foglie più esterne, puliva cautamente i gambi, tagliava con maestria le punte più dure e poi con mezzo limone faceva sì che tutta la superficie fosse protetta dall’ossidazione. Mi sembra ieri quando con il suo atteggiamento fiero e regale, a capotavola, stava le ore a curare la preparazione del suo piatto forte. La chiamavano tutti “La Carabiniera”. Non a caso.

Il ripieno era, per lei, standard: pane raffermo, formaggio grattugiato, prezzemolo tritato e uova. Una volta puliti i carciofi, ottenuti tanti piccoli fiori delicati, li apriva e li farciva, ponendoli poi in un tegame di terracotta in piedi. Come tanti soldatini. Tra gli spazi vuoti, per non lasciare nulla al caso e non sprecare olio o tempo, vi inseriva pezzi di gambo e patate. Quando tutto era stato collocato al suo posto, con la bottiglia di olio extra vergine di oliva da 1,5l “annegava” il ripieno.

Ora capisco il segreto di quella ricetta: l’abbondante olio. Alla fine doveva esserci condimento sufficiente per realizzarci un’altra delizia: le polpette con i carciofi.

Il tegame, una volta pronto veniva coperto con un coperchio di acciaio e messo a cuocere al coppo: nel caminetto con la brace sotto e sopra.

Quando erano vivi entrambi i miei nonni, ricordo ancora di come questa ricetta, i “Carciofi Ripieni” fosse un’occasione, per loro, di fare qualcosa insieme. Non come una squadra, ma come una coppia che negli anni si è affiatata a tal punto da non dover parlare per suddividersi le attività.

Le fasi del procedimento erano divise tra loro in modo chiaro e definito: il maschile, nonno, era colui che accendeva il fuoco, pensava alla brace, coglieva i carciofi, grattugiava il formaggio, triturava il prezzemolo in un bicchiere con delle forbici (fin quando non sono arrivata io); il femminile, nonna, era colei che selezionava i carciofi affinché fossero tutti uguali tra loro, puliva i fiori, preparava il ripieno, farciva i carciofi, li adagiava nella pentola e dosava il condimento finale.

La cottura era, ancora una volta, un compito che spettava al maschile.

Definire quando fossero pronti e il servizio, l’assegnazione dei carciofi ai commensali, era compito del femminile.

Mi sembra ancora di vedere mio nonno ricurvo davanti al fuoco, nonostante il caldo di alcune giornate… a controllare che la brace “si mantenesse”.

Chissà se tutte le persone che hanno assaggiato i Carciofi Ripieni di mia nonna, ne hanno mai apprezzato e compreso le tante sfumature.

Sarà perché le miei origini per metà sono abruzzesi e per metà sono romane, ma io personalmente i carciofi li ho sempre considerati un cibo straordinario… cucinati con olio, aglio e menta, credo che siano per me uno dei contorni che più adoro… per non parlare della loro versione fritta in pastella, alla giudia, crudi con limone e parmigiano a scaglie… insomma… quando ho scoperto il mito al quale fanno riferimento non mi sono stupita.

Il carciofo, in Grecia, era chiamato cynara. Secondo la leggenda, questo nome deriva dal nome di una musa sedotta da Zeus, la musa Cynara. Chiamata così per via dei suoi capelli color cenere, nonostante fosse corteggiata dal Padre di tutti gli Dei, non volle mai farsi avvicinare da Zeus e così, dopo averlo respinto per l’ennesima volta, venne trasformata in un bellissimo fiore spinoso: il carciofo.  

Ecco che il carciofo, dal punto di vista simbolico è un cibo che racchiude nella sua essenza, il mito che lo racconta. Il cibo è vibrazione e, approfondirne la sua storia, ci permette di comprendere con quale parte di noi si relaziona, con quali parti di noi entra in connessione.

Pablo Neruda, lo definisce il “Guerriero dal cuore tenero”, cioè un ortaggio che “indossa” una corazza di foglie spinose e dure, ma ha un’anima tenera e gustosa. A quanti di noi questa immagine rievoca qualcosa di personale?

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Quando penso al Cibo come strumento di lavoro personale penso, sempre, oltre al suo potente valore evocativo, alla sua capacità di farci fare connessioni che non avremmo mai pensato, riflessioni insolite… e, soprattutto, di permetterci il grande lusso di spostare il nostro punto di vista, la prospettiva dalla quale osservare la nostra vita, le nostre relazioni, le nostre emozioni.

Mi piace moltissimo una frase di Selene Calloni Williams: dalla bellezza che si disfa (mangiando), nascono idee meravigliose.

Ed è per questo che diventa importante iniziare a prestare attenzione a quello che si mangia, a come lo si mangia e a cosa vi suscita quel determinato momento, mentre lo mangiate.

Tutto può essere fonte di ispirazione, oltre che nutrimento, non solo per il Corpo, e tutto può essere un’occasione per portare nella propria quotidianità una presenza, un’attenzione, una sensibilità e una ritualità nelle nostre azioni.

Con l’augurio che possiate affrontare con serenità questi giorni di festa, condivido con voi la ricetta dei carciofi di Nonna Elisa, affinché magari possa esservi di ispirazione per il vostro menù di domani.

I Carciofi Ripieni di Nonna Elisa pronti per da cuocere al forno

Ricetta per 8 carciofi

Ingredienti

8 carciofi media grandezza

1 limone intero

8 cucchiai di parmigiano grattugiato (o il Rigatino)

4 fette di pane raffermo

2 uova

Un mazzetto di prezzemolo

2 patate

1 spicchio di aglio

Sale q.b.

Olio Extra Vergine di Oliva q.b.

Procedimento

Pulite con attenzione i carciofi togliendo tutte le foglie e le punte dure. Tagliando a metà il limone, passate il succo su tutta la superficie dei carciofi per evitare che possa annerirsi e, se possibile, immergete i carciofi interi e i loro gambi in acqua e limone.

In una ciotola mettete il pane raffermo con un pochino di acqua oppure, in assenza di crosta, la mollica sbriciolata. Aggiungete il formaggio, le uova, il prezzemolo tritato finemente, il sale.

Scolate i carciofi uno ad uno e riempiteli con attenzione della farcia preparata. Posizionateli in piedi in una pentola di ceramica e di terracotta e poi, negli spazi lasciati vuoti, mettete i gambi e i pezzi di patata sbucciata. Salate, se dovesse servire e poi, in ultimo, mettete lo spicchio d’aglio con la buccia sul fondo della pentola e l’olio. Abbondate con il condimento. Non temiate che vengano troppo carichi.

Se non avete il camino, cuocete il tutto in forno a 180°C-200°C fin quando non saranno teneri e leggermente abbrustoliti. Di solito il tempo è di circa 50 minuti.

Lasciate riposare e servite in un piatto ampio con un pezzo di patata, un gambo, olio e crostini di pane.

L’abbinamento per eccellenza di questo piatto, per me, è un Cerasuolo d’Abruzzo DOP strutturato, da servire ad una temperatura non troppo bassa (14°C).

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