Non ci si nutre di rimorsi

La parola rimorso etimologicamente deriva dal latino remordere, mordere di nuovo. Ripetutamente.

Non a caso, lo stato d’animo che identifica questo termine, è legato ad una sensazione di malessere che da una parte si connette al disagio di aver commesso qualcosa di sbagliato nei confronti di qualcuno, dall’altra di aver sbagliato e di aver infranto la nostra personale idea di perfezione.

L’aver deluso le aspettative altrui, l’aver fatto un errore nei confronti di un collega, di un amico, di un familiare… genera un disagio, un senso di colpa… così come aver offuscato la nostra immagine priva di difetti. E’ come se si venisse morsi e ri-morsi.

A livello fisico il rimorso è qualcosa che ci colpisce di solito a livello dello stomaco. La sua presenza ci chiude e ci allontana dalla possibilità di sentire l’altro e noi stessi. Perfino il respiro tende a sospendersi. La gola avverte un nodo… L’aver commesso uno sbaglio ci riporta con i piedi per terra a sentire la nostra umana fragilità allontanandoci spesso da tutto e da tutti. Anche stando vicini. Perdiamo il con-tatto e con esso anche la possibilità di provare compassione. Per noi e per il prossimo.

Il rimorso ci aliena nella sua dimensione e ci rimanda a una condizione in cui siamo vittime e carnefici al tempo stesso: ci sentiamo in colpa per aver commesso un errore nei confronti di qualcuno e ci sentiamo terribilmente male all’idea di aver fatto qualcosa che macchia la nostra immagine.

Spesso il desiderio di ri-parare al danno, all’errore commesso non basta a sanare quella sensazione di inadeguatezza e di fallimento, e così ci si ritrova in un loop di pensieri e di domande, di riflessioni, considerazioni… che ci staccano dal qui e ora e ci proiettano in un tempo senza tempo dove si rimugina su quanto accaduto. Come se questo potesse cambiare il passato. Farlo diventare “altro” da quello che è stato.

Rimuginare è una parola quasi onomatopeica (come afferma la Dottoressa Zuleika Fusco):  solo nel pronunciarla, l’immagine della ruota del criceto che gira si palesa davanti ai nostri occhi. Avete presente quando i vostri pensieri in modo ricorrente vi riproiettano nella vostra mente quell’evento, quella situazione… quasi come se voi poteste fare qualcosa, oggi, per far sì che il finale di ieri possa essere diverso?

Bè, il rimuginio è un’attività che come il ri-morso ci fa male due volte. La prima perché ci distrae dalle nostre attività, dal nostro presente… intrappolandoci in qualcosa che è stato, rubandoci le nostre energie, boicottando il raggiungimento dei nostri obiettivi…, la seconda perché nell’atto di pensare e ripensare alle stesse cose interrompe la fluidità che dovrebbe avere il nostro pensiero e fa sì che a poco a poco questi diventi solido. Pesante.

Ci si giustifica dicendosi che è importante analizzare i propri errori, le diverse variabili, le sfumature… e poi ci si ritrova a non riuscire a progredire, a voltare pagina, a cambiare argomento. A riprendere una progettualità.

Il ri-morso non nutre, come il rimuginare non paga. Non è stando nella posizione della vittima o del carnefice, nel colpevolizzarsi o struggersi che abbiamo la possibilità di modificare quello che accade nella nostra vita. Ed è importante cogliere ed accogliere questa sfumatura: le cose si verificano, in un senso e nell’altro, ogni qualvolta noi muoviamo delle energie.

Stando fermi, non si sbaglia, è vero…ma solamente facendo, mettendosi in discussione, sperimentando e sperimentandosi si cresce, si lavora sulla propria autostima, sul proprio senso di autoefficacia. La pratica è importante. Non basta la teoria. Vivere con il corpo, provare le emozioni, anche negative rispetto ad un errore, non è funzionale al momento ma al processo. Se avverto un disagio dopo aver sbagliato, non è perché devo essere punito, ma perché così ricorderò meglio cosa mi fa stare bene e cosa no. La vita non è matrigna e Madre Punitiva, ma al contrario, è generosa e benevola nei nostri confronti. Ci insegna che esiste sempre un’altra possibilità, un altro treno da prendere, un’altra occasione da cogliere. Basta vivere. Con generosità, fiducia e coraggio. L’opposto della paura non è essere coraggiosi, ma amorevoli. Verso di noi prima di tutto. Accettando la nostra fallibilità, lavorando per trasformare noi stessi in un’ottica di continua evoluzione, lasciando andare ciò che è passato, o imparando a rileggerlo in una chiave positiva.

Solo se si è disposti a vivere e a rischiare, allora le cose iniziano ad accadere. Sta a noi saperle coglierle e… accoglierle.

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